Di una cosa eravamo certi: ci piacevano i colori pastello.
Dopo un restauro lungo 10 mesi, dopo aver scelto con attenzione rivestimenti, arredi e biancheria (tutto questo meriterebbe un racconto a sé), nel febbraio 2020 io e Sara abbiamo inaugurato Hinc Domus – Residenza Da Qui e iniziato ad accogliere i nostri primi ospiti. Un sogno si stava finalmente avverando, eravamo al settimo cielo.
Poi, come spesso accade, sul più bello la gioia viene interrotta...
Ma prima di continuare lascia che ti racconti tutto dall’inizio.
Fino a dieci anni fa facevo il giornalista, lavoravo come ufficio stampa presso un'importante istituzione culturale di Venezia. Un lavoro che amavo, che facevo con grande passione. Capitava di trascorrere anche più di dieci ore in ufficio ma non era un problema.
Come Davide Byrne nel video di Once in a lifetime, mentre il ritmo aumentava sempre di più, continuavo sistematicamente a ripetere gli stessi gesti, ad assecondare quelle movenze, mentre il tempo scorreva via come l'acqua. Lavorare e ripetere le stesse cose tutti i giorni teneva talmente occupata la mia mente da non riuscire a immaginare strade diverse.
Poi, come in ogni storia che si rispetti, un giorno è successo qualcosa. Un mio collega mi racconta del suo recente viaggio in Yemen nell’isola di Socotra (un paese ormai da anni tragicamente inaccessibile perché logorato da una dilaniante guerra civile). Ne rimasi affascinato ma mi rimisi subito a scrivere l’email che dovevo inviare.
Quel racconto però aveva smosso qualcosa. E alle fine dell’anno decisi di prendere lo zaino e partire. Destinazione Patagonia.
Ok, lo so cosa stai pensando adesso...
Potrebbe sembrare la solita storia già sentita e risentita, quella che vede il protagonista partire per la Terra del Fuoco sulle orme di Chatwin per ritrovare sé stesso. Non avere fretta però, non è la storia che voglio raccontarti.
Succedeva che ogni anno per 11 mesi lavoravo come un matto e per 1 mese viaggiavo in paesi lontani. Alla Patagonia seguirono il Vietnam, la Cambogia, il Laos, l’Australia, il Nepal. Viaggi che si rivelavano sempre una boccata d'aria, una vera e propria boccata di vita.
Non che non mi piacesse più il mio lavoro, ma per la prima volta iniziavo a pensare seriamente a cosa volevo per la mia vita. E la verità è che la prospettiva di crescita lavorativa che vedevo non mi attiravano poi così tanto.
Iniziavo a voler qualcos'altro per me.
Non so se ti è mai capitato di sentirti così combattuto per qualcosa: una parte di te vuole proseguire per la strada conosciuta mentre l'altra vuole buttarsi a capofitto nell'incertezza.
Ero in un limbo. Le resistenze da vincere erano forti.
Scegliere di cambiare strada e di intraprendere quella che - ne ero consapevole -, agli occhi di molti sarebbe stata una retromarcia, non è stato indolore.
Ai tempi ero anche una persona abbastanza incline alla depressione. Come puoi immaginare iniziai a stare abbastanza male. Non voglio ammorbarti con il mio stato emotivo dell'epoca, ti basti sapere che le considerazioni negative sul futuro avevano il sopravvento su quelle positive e la mia mente reagiva di conseguenza: si abbatteva.
Nel 2012 allungai la pausa lavorativa e un viaggio in Australia si prolungò per 6 mesi. Il continuo della storia, quella in cui lascio il lavoro, eventualmente te la racconto un’altra volta.
Ora voglio dirti la lezione che imparai in quel momento e che ha cambiato completamente il mio modo di vedere il mondo: quel viaggio mi ha fatto capire che c'erano persone che vedevano il mondo in un modo completamente diverso da come lo vedevo io.
Prova a pensarci...
Da quando nasciamo veniamo inseriti in un sistema scolastico che ci porta a credere che quella sia l'unica strada possibile. Veniamo educati tutti più o meno nello stesso modo e ci viene detto che quello è l'unico modo in cui potremmo farcela nella vita: scuola, università, stage, lavoro, pensione.
Non voglio dire che questa prospettiva sia sbagliata, tutt'altro. Ma spesso ci porta a credere che il destino delle nostre vite sia già segnato.
Quel viaggio nella terra dei canguri ha acceso una lampadina nella mia testa, mi ha fatto capire che chi raggiunge determinati traguardi nella vita non per forza ha avuto la fortuna di apprezzare la vita.
E così, poco alla volta, è iniziato un mio personale percorso di crescita.
Il passo successivo, una volta lasciato il lavoro, fu iniziare ad organizzare dei viaggi non solo per me ma anche per altre persone. Ho organizzato viaggi in India, Turchia, Messico, Iran, Islanda, Indonesia, Tanzania, Tailandia, Bolivia, Cile, Stati Uniti, Canada, viaggiando assieme a gruppi di persone di tutte le età. Viaggi, esperienze, compagni di viaggio che ti cambiano. Inevitabilmente.
Appena metti il naso fuori dal tuo paese d’origine ti rassegni all’evidenza che tutto è relativo e che dipende dalla prospettiva da cui guardi il mondo. La mente si allarga e, più ti sposti, più ti tocca fare spazio. Impari ogni volta che le percezioni e le esperienze degli altri possono essere profondamente diverse dalle tue.
Ho visto decine di porte aprirsi per accoglierci. Siamo stati ospitati con generosità da persone che ci hanno invitato a fermarci a casa propria come fossimo dei loro amici o parenti. Incontrare e scoprire la gente del posto (ma anche i propri compagni di viaggio) è una delle cose più belle di quegli anni trascorsi, in gran parte, in giro per il mondo.
Dopo ogni viaggio mi convincevo sempre (e lo sono ancora) che il viaggio non riguarda i posti ma le persone. Sono le persone, in carne ed ossa, emozioni e pensieri, gesti e voci a rendere speciali i luoghi. Anche casa propria. Sì, perché quello che ho detto sul farsi ospitare vale in gran parte anche per l’ospitare a casa propria.
Il passo successivo, direi inevitabile, fu aprire le porte di casa nostra (all’epoca un piccolo appartamento di 55mq), scoprendo cosi il valore della condivisione. Ho capito che la paura dello sconosciuto, dello straniero, si infrange di fronte alle persone reali. Ho anche capito che la differenza di età e culture tra persone aperte e curiose non è una barriera ma uno stimolo. Ospitare significa continuare a viaggiare ogni giorno.
L’ospite va rispettato come portatore di una storia e cultura lontana, non può essere ridotto soltanto a un passante o a un cliente.
Ed eccoci così ritornare all’inizio di questa storia che ti ho voluto raccontare.
Hinc Domus – Residenza Da Qui è ora la nostra realtà che, grazie alle tre stanze dedicate ai nostri ospiti, ci permette di far entrare il mondo dentro casa nostra.
Quest’anno le stanze sono rimaste tristemente vuote. Ma non le abbiamo dimenticate, anzi le abbiamo continuate a rendere sempre più belle e confortevoli.
Qualche volta a me a Sara è anche venuta voglia di trascorrerci una notte. Chiudere gli occhi e svegliarci leggeri e in vacanza.
Ora non ci resta che sperare di tornare a ospitare tutti coloro che vorranno passare a trovarci, fiduciosi che, al momento della loro partenza, possano dirci “Da qui non vorremmo più andare via”.
Aspettiamo presto te e tutti quelli a cui vorrai raccontare la nostra storia.
Un abbraccio
Giovanni